-Città Inquinata: La Scelta

Nella Puglia migliore di Vendola dove si investe nei giovani e nelle energie rinnovabili mentre si balla la pizzica, migliaia di persone vivono, si ammalano e muoiono in una delle città più inquinate d’Europa, Taranto. Il 90% della diossina emessa in Italia viene da lì, per citare solo uno tra le tante forme d’inquinamento che avvelenano questa città: idrocarburi policiclici aromatici (IPA), benzopirene e polveri sottili, tutti oltre i limiti posti da leggi regionali, nazionali ed europee. I bambini di Taranto respirano in un anno l’equivalente di mille sigarette, e ogni anno si registrano duemila nuovi casi di malattie legate all’inquinamento. Quantità allarmanti di diossina sono state trovate nel terreno, nel formaggio e persino nel latte materno delle casalinghe che ogni giorno spazzano i loro balconi e davanzali dalle polveri che cadono incessantemente dal cielo, corrodendo la carrozzeria delle macchine e colorando di rosso i marciapiedi.
 
La sorgente di tutto ciò è uno dei poli industriali più importanti del meridione: l’Ilva, la seconda acciaieria d’Europa; la raffineria dell’Eni; il cementifico della Cementir – un’area industriale che è grande due volte e mezzo la città, e sulla cui produzione si è fondata l’economia di tutta la regione. Nelle industrie tarantine hanno lavorato decine di migliaia di pugliesi, tra cui non pochi locorotondesi, molti dei quali sono ancora là ad ammalarsi di asbestosi e cancro ai polmoni dopo decenni di duro lavoro tra i fumi e le polveri dell’ex-Italsider. Erano andati a Taranto in cerca di un’alternativa alla monotona esistenza delle campagne e delle masserie delle Valle d’Itria, ed ora sono abbandonati nei quartieri operai di Tamburi e Paolo VI, a poche centinaia di metri dalle ciminiere. In molti sono impegnati in lunghissime cause giudiziarie per cercare di ottenere dei risarcimenti dalle aziende che li hanno avvelenati e ora negano che vi sia alcun nesso tra il 90% delle emissioni inquinanti d’Italia e un tasso di mortalità a causa di tumore che è del 40% superiore alla media nazionale.
 
La loro storia è la storia di tutto il meridione d’Italia, e forse quella di tutti i meridioni del mondo: pur di uscire da secoli di arretratezza e povertà, Taranto si è lasciata colonizzare dal capitalismo, un capitalismo alla diossina che continua a stringere un’intera città nell’abbraccio asfissiante del ricatto occupazionale: almeno a Taranto c’è il lavoro, la chiusura dell’Ilva sarebbe la fine della città, senza l’industria non c’è futuro e così via, mentre gli allevatori della provincia devono abbattere le loro pecore perché contengono troppa veleno e nuovi studi scientifici denunciano l’allarmante emergenza del “danno genotossico”: gli agenti inquinanti stanno cioè cambiando il DNA stesso degli abitanti di Taranto, facendo sì che questa eredità avvelenata venga passata direttamente alle generazioni a venire.
 
Non ci è dato sapere se i nostri conterranei che sono andati a lavorare e a morire nelle industrie tarantine farebbero un’altra volta la stessa scelta conoscendone le conseguenze. Ma guardando la generale indifferenza in cui un’intera città viene lentamente avvelenata, è difficile non pensare che non cambierebbe niente, e che un’altra generazione di Pugliesi sarebbe pronta a barattare salute e ambiente per un lavoro ed il sogno del benessere. In fondo, non è la stessa cosa che noi tutti facciamo ogni giorno, ogni volta che ignoriamo l’enorme disastro ambientale che si trova a meno di 30 chilometri da noi?
 
(Pubblicato in Largo Bellavista)